Giovanni Antonio Rusconi

Della architettura di Gio. Antonio Rusconi, con centossanta figure dissegnate dal medesimo, secondo i precetti di Vitruvio, Venezia, 1590

 

Giovanni Antonio Rusconi

 

Della architettura di Gio. Antonio Rusconi, con centossanta figure dissegnate dal medesimo, secondo i precetti di Vitruvio, Venezia, 1590

 

 

Segue dalla pagina principale

 

 

 

 

 

I due planisferi che presento hanno lo scopo di illustrare il capitolo nono del De architectura che  Marco Vitruvio Pollione scrisse intorno al 25 a . C. Il  capitolo è dedicato dall’autore  alla descrizione della costruzione degli orologi solari e a una digressione di carattere astrologica astronomica lungo la quale descrive la struttura della volta stellata soffermandosi ad analizzare le costellazioni dello zodiaco, quelle boreali e quelle australi.

Le due tavole sono contenute tra le 160 incisioni che Giovanni Antonio Rusconi realizzò nel cinquecento per arricchire il suo progetto di  traduzione in italiano dell’opera di Vitruvio. Il progetto completo non venne mai realizzato e le tavole furono utilizzate alcuni decenni dopo dall’editore per pubblicare un’opera illustrata di solo commento al testo dello scrittore latino.

 Di seguito riporto la presentazione pubblicata in un catalogo della libreria antiquaria ALESSANDRO MEDA RIQUIER di Pavia che descrive in modo dettagliato una rara copia  del libro di Rusconi  ma anche le travagliate vicende che  regolarono la produzione dell’opera.     

 

GIOVANNI ANTONIO RUSCONI

Della architettura di Gio. Antonio Rusconi, con centossanta figure dissegnate dal medesimo, secondo i precetti di Vitruvio, e con chiarezza, e brevità dichiarate libri dieci. Venezia: appresso i Gioliti, 1590.

 

In-folio (293x195 mm), [12], 143 pagine. Elaborato frontespizio architettonico, capilettera istoriati e 160 incisioni nel testo.

Legatura in vitello del XVIII secolo, dorso a quattro nervi riccamente decorato in oro, tagli marmorizzati.

Provenienza: Luigi Rossini (nota autografa al foglio di sguardia anteriore). Prima edizione.

 

 È assai probabile che Giovanni Antonio Rusconi (Venezia 1520-1579) avesse progettato l’opera fin da giovane, quando seguiva i corsi di matematica euclidea tenuti da Nicolò Tartaglia presso la scuola dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia. Durante le lezioni Rusconi era entrato in contrapposizione con il suo maestro a proposito di alcuni problemi di balistica e della soluzione che vi aveva dato Vitruvio: Tartaglia sosteneva infatti che Vitruvio sbagliasse nell’applicazione di alcune regole matematiche mentre Rusconi attribuiva l’errore alle scorrette traduzioni del testo latino allora disponibili; quelle di Cesariano, di Durantino e quella più recente di Giovan Battista Caporali. Rusconi quindi avvertiva l’esigenza di una versione più corretta del testo vitruviano che potesse essere un punto di riferimento certo per gli architetti che quotidianamente dovevano confrontarsi con le difficoltà interpretative di alcuni dei precetti del padre dell’architettura. Da una lettera di Ludovico Dolce a Benedetto Varchi, si apprende che la traduzione era stata ultimata nel 1552 e che Rusconi stava lavorando alle illustrazioni e al commento del testo. Il 26 febbraio 1553, Giolito ottenne dal Senato Veneto il privilegio per la nuova edizione vitruviana e, il 29 marzo dello stesso anno, analogo privilegio era stato accordato dal Granduca di Toscana; la pubblicazione sembrava ormai imminente ma, nonostante le sollecitazioni di molti autorevoli personaggi, la forte aspettativa creata e le notevoli spese sostenute dall’editore per finanziare l’opera, Giolito decise di sospendere la stampa. Due sono essenzialmente i motivi all’origine di questa decisione: innanzitutto era risaputo che Daniele Barbaro stesse lavorando ad una traduzione di Vitruvio fin dal 1547. Rientrato a Venezia nel 1551 dopo aver svolto le funzioni di ambasciatore della Serenissima presso la corte inglese, stava ora programmando un viaggio a Roma in compagnia di Andrea Palladio per la raccolta di ulteriori materiali utili a completare la sua edizione di Vitruvio. Inoltre la traduzione commentata di Rusconi, proprio per la particolare attenzione che era stata dedicata ai problemi pratici dell’edificare, alle tecniche e ai materiali a discapito delle questioni di forma architettonica vera e propria, veniva assimilata ai trattati di fortificazione, argomento sul quale diverse opere erano state pubblicate e quindi non si avvertiva la necessità di ulteriori contributi. Giolito ritenne quindi preferibile accantonare momentaneamente la pubblicazione del lavoro di Rusconi in attesa di tempi più favorevoli che peraltro non arrivarono determinando una serie di ulteriori differimenti. Nel 1556 uscì infatti il De architectura nella versione di Daniele Barbaro, nel 1562 la Regola delli cinque ordini d’architettura di Jacopo Barozzi, nel 1567 la versione latina dell’opera di Barbaro e, infine, nel 1570 i Quattro libri dell’architettura di Andrea Palladio. Tutto sembrava congiurare contro Rusconi ma, morto Giolito de Ferrari nel 1578 e nel 1590 il figlio Giovanni, che ne aveva ereditato l’attività e l’aveva proseguita limitandosi peraltro a pubblicare opere di carattere devozionale, fu deciso di non pubblicare più nulla di inedito e di svendere il magazzino. I Giolito ritrovarono così i circa 300 rami con le incisioni che Rusconi aveva intagliato per illustrare la sua edizione di Vitruvio; era un patrimonio che doveva essere sfruttato economicamente e cosi decisero di procedere alla pubblicazione.

Questa, in breve, la genesi di un’edizione che corrisponde solo in piccola parte agli intenti del suo autore: scompare la traduzione del testo latino, l’apparato iconografico è ridotto a 160 illustrazioni soltanto e non v’è traccia alcuna del commento che avrebbe dovuto accompagnare le tavole, qui sostituito da brevi note esplicative ricavate dal testo di Barbaro. L’importanza dell’opera di Rusconi deve essere ravvisata nell’attenzione posta all’attività pratica dell’edificare, alle tecniche, ai materiali, un atteggiamento nuovo e diverso rispetto a quello che aveva caratterizzato lo studio vitruviano di Daniele Barbaro, tendente alla creazione, attraverso un approccio rigorosamente filologico al testo latino, di un sistema architettonico coerente.

Una seconda edizione, aumentata di un capitolo relativo agli orologi solari, verrà pubblicata nel 1660.

 

ALESSANDRO MEDA RIQUIER

Libri antichi e rari

Via Corridoni, 8 - 27100 Pavia – Italia

 

 

Edizione del 1660 

Nell'iconografia è identica all'edizione del 1590. Le uniche differenze stanno nei capilettera all'inizio dei capitoli, nella nuova composizione tipografica del testo e nell'incisione che rappresenta il cielo boreale , per la quale l'editore ha scelto nell'edizione del 1590 una rappresentazione molto più vicina allo stile del Dürer e più omogenea alla tavola del cielo australe. Bisogna comunque supporre che anche la xilografia utilizzata per il cielo boreale nel 1660 fosse già presente negli originali cinquecenteschi innanzitutto perché le caratteristiche delle singole costellazioni  riportano allo stile utilizzato da P. Apianus ed inoltre perché le due tavole stampate nel 1660 non riportano le novità introdotte nei cieli in seguito alle ricerche e alle scoperte avvenute nella prima parte del seicento.

I due planisferi, di 12,2 centimetri di diametro, che hanno lo scopo di rappresentare graficamente il capitolo IX di Vitruvio, riproducono in proiezione polare stereografica convessa i due emisferi celesti. Essendo incentrati sul polo eclittico hanno come circonferenza esterna la proiezione dell’Eclittica ed in entrambe le due volte vengono riportate le costellazioni zodiacali. Le stelle sono posizionate per un periodo difficilmente calcolabile con precisione ma situato sicuramente intorno alla metà del cinquecento e sono distinte per magnitudini. Le posizioni relative degli astri sembrano rispettare il catalogo tolemaico,  le stelle non sono però indicizzate, solo per alcune viene riportato il nome proprio. L’eclittica è graduata in tacche di un grado di longitudine e suddivisa in spicchi ampi 30 gradi. E’ presente il tracciato della via Lattea. Nell’emisfero boreale sono presenti inoltre le linee dei coluri, le proiezioni del circolo polare artico, quella del tropico del cancro e della parte boreale dell’equatore.  

 

 

Coluro dei solstizi e circolo polare boreale. Polo equatoriale (Polus mundi) e polo eclittico

 

 

Parte della linea dell'equatore

 

Planisfero Boreale 1660

 

Planisfero Boreale 1590

 

 

Planisfero Australe

 Le costellazioni sono disegnate ispirandosi genericamente all'impianto dei planisferi del 1515 del Durer; solo per l’emisfero nord sono denominate in latino, per alcune è aggiunta anche la denominazione greca; nell’emisfero sud il nome è sostituito da una lettera di riferimento.  

I due emisferi non si differenziano soltanto per il modo in cui vengono denominate le costellazioni: Il cielo boreale è descritto nei più piccoli particolari, il suo reticolo di riferimento è più articolato, il disegno dei suoi personaggi mitologici possiede volume ed è più curato, caratteristica subito evidente se confrontiamo a coppia le 12 costellazioni zodiacali presenti in entrambi gli emisferi. L'emisfero sud sembra soltanto abbozzato, tanto da ipotizzare che possa essere stato il frutto di una mano diversa da quella del Rusconi. Inoltre il planisfero boreale colpisce per una fortissima rassomiglianza con il rispettivo planisfero affrescato da un autore anonimo , intorno al 1540, sul soffitto a volte di un palazzo rinascimentale di Teglio in Valtellina: in particolare è quasi identica la costellazione del Boote, rappresentata come un cacciatore con il braccio sinistro sollevato a sostenere una spada arcuata dalla quale pende  un cane o una capra  che tenta di raggiungere un grappolo d'uva posto sopra una vite. Mentre con l'altra mano regge una lunga lancia e trattiene il laccio al quale sono legati i due cani da caccia; in entrambi i planisferi è presente, tra le prime volte, una rappresentazione originale della Chioma di Berenice e sulla spalla dell'Auriga (Erichthonius in Rusconi) la Capra è rappresentata in un identico modo; in generale il segno grafico dei due planisferi sembra lo stesso. Posso ipotizzare che l'autore dell'affresco di Teglio abbia addirittura conosciuto la matrice dell'incisione del Rusconi  poichè il libro a stampa di questi apparve soltanto nel 1590 quando l'affresco del nostro anonimo abbelliva il palazzo Besta di Teglio già da almeno cinquanta anni. Potrebbe però essere valida anche l'ipotesi che il Rusconi in qualità di architetto possa aver avuto influenze sul restauro del palazzo Besta conclusosi verso la metà del cinquecento.

 

     

Il Boote di Rusconi e quello di Palazzo Besta a Teglio. In questo caso Bootes sarebbe da interpretare come il catasterismo di Icario, padre di Erigone, al quale, per la sua giustizia e religiosità il Padre Libero, Dioniso, rivelò il vino, la vite e l'uva ( Igino, De Astronomia, Libro II,4).

 

 

Erichthonius e la Capra

 

 Oltre alle 48 costellazioni della tradizione tolemaica troviamo rappresentato Antinoo e per la prima volta in assoluto, per quanto riguarda una tavola piana, appare una rappresentazione della Chioma di Berenice, definita Bernices crinis e disegnata come un busto femminile che sembra nuotare o volare entro ad una nube chiomata.

L'incisione del cielo boreale nell'edizione del 1590 

 

La tavola è molto diversa da quella dell'edizione del 1660. Lo stile, così come il reticolo di riferimento, è infatti identico a quello utilizzato nel cielo australe e ricorda il Durer. Le costellazioni riportate sono soltanto quelle tolemaiche.

 

 

 

Bernices crinis

 

 

 

Planisfero Boreale del 1660

 

 

 

Particolari

 

 

 

 

 

 

Planisfero Boreale del 1590

 

Particolari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

www.atlascoelestis.com

di

FELICE STOPPA