Alexander Jamieson |
A Celestial Atlas comprising a sistematic display of the Heaven, London 1822 |
A Celestial Atlas comprising a sistematic display of the Heaven, London 1822
(Musiche di Arvo Pärt)
Il Celestial Atlas di
Alexander Jamieson vede la luce il primo giorno di febbraio del 1822. Avrà
un tale successo commerciale che già nel settembre dello stesso anno gli
editori londinesi, G. e W.B Wittaker, T. Cadell and N. Hailes,
predisporranno la seconda edizione.
La fortuna dell’atlante affondava le sue radici
nel progetto dell’autore che aveva saputo interpretare il giusto
equilibrio tra l’opera scientifica e quella amatoriale: sia
l’astronomo, e non solo quello inglese, sia il cultore di astronomia, ma
anche l’appassionato di arte e di mitologia erano suoi possibili
acquirenti.
Da più di duecento anni, cioè dall’apparizione dell’Uranometria di J. Bayer del
1603, la cartografia celeste viveva il
suo periodo storico più fruttuoso, la sua epoca d’oro; importanti
cataloghi stellari, sempre più ampi e precisi, avevano visto la luce e in
parallelo erano stati prodotti i rispettivi atlanti celesti, disegnati da
artisti ed incisori che coniugavano la precisione scientifica con il
prezioso valore estetico delle loro opere. Alle secentesche
opere del Bayer, del Cellario, dell’
Hevelio, che avevano rappresentato
le nuove scoperte celesti e le nuove visioni cosmologiche, erano seguite
quelle del settecento del Flamsteed, del
Fortin e la prima opera di Bode, il Vorstellung
der Gestirne, che avevano operato incrementando per quantità e qualità
il numero delle stelle catalogate e la precisione della loro posizione. Ed
ecco che, finalmente, nel 1801 ancora il tedesco J. Bode pubblicava
l’ultima delle venti tavole di grande formato della sua Uranographia.
Oltre 100 costellazioni con i relativi personaggi gremiscono il cielo di
Bode. Affiancate, quasi ammassate, trovano posto, separate per la prima
volta tra loro da un delicato confine a tratteggio, le quarantotto
costellazioni tolemaiche e tutte le altre che, dal Bayer del Suddivise in otto magnitudini compaiono più di 17.200
stelle, vengono segnalate le
stelle doppie, gli ammassi stellari e circa 2000 nebulose; nelle 20 tavole
viene sintetizzato il lavoro svolto da una trentina di astronomi
del periodo, tra i quali Lacaille, Lalande, Messier e in particolare
William Herschel per il contributo relativo alle nebulose.
Nell'atlante di Bode sono rappresentate più di cento
costellazioni, le quarantotto tolemaiche, le prime dodici australi
identificate da Keyser alla fine del cinquecento, le undici di Hevelius,
altre quattordici collocate nell'emisfero sud da Lacaille in seguito alle
sue ricerche effettuate a Città del Capo dove, tra il 1751 e il 1752,
classificò circa diecimila nuove stelle. L'Uranographia
contiene tutte quelle costellazioni che man mano i vari astronomi avevano
proposto durante gli ultimi due secoli, anche quelle che ebbero una vita
effimera, come il Globus
aerostaticus e il Felis
proposte da J.J. de Lalande o
Jamieson, conscio che non sarebbe più stato possibile proporre una
unica nuova opera che potesse
migliorare l’Uranographia del
Bode e per il contenuto estetico e nel contempo anche per quello tecnico
scientifico, definì il suo progetto entro due direttrici.
Da una parte il livello scientifico della sua proposta non
avrebbe dovuto essere inferiore almeno alla prima opera di Bode, il Vorstellung
der Gestirne del 1782, anzi avrebbe dovuto superarlo
nell’aggiornamento dei dati.
Sul fronte dell’aspetto estetico e divulgativo gli spazi erano
ancora molto aperti ed il suo
atlante avrebbe dovuto essere senz’altro il migliore che l’editoria
avesse mai visto.
Jamieson non era un astronomo di professione, era un insegnante
e la sua preparazione lo predisponeva a rispondere nel modo
migliore ad entrambi i presupposti del suo progetto. In precedenza aveva
già scritto due opere, la prima a carattere di cultura generale
era, come recita l’occhiello
posto sotto il titolo
del Celestial
Atlas, “ A Grammar of Logic
and Intellectual Philosophy, Rhetoric and Polite literature”, la
seconda , stampata a Londra nel 1814 da Darton, Harwey and Co.,
era un trattato divulgativo
che denunciava già la predisposizione tecnica dell’autore: A
Treatise on the Construction of Maps; in which the principles of the
projections of the sphere are demonstrated, and their various practical
relations to Mathematical Geography, deduced and explained: systematically arranged, and
scientifically illustrated from
twenty plates of diagrams. With
an appendix and copious notes.
Il primo obiettivo viene raggiunto inserendo, nelle sezioni
relative alla descrizione delle costellazioni, le tabelle
che elencano le
stelle di appartenenza con la loro posizione aggiornata. Il loro numero
non è inferiore a quello del Vorstellung
der Gestirne e la precisione della posizione è addirittura superiore
a quella dell’Uranographia, il
nostro infatti era partito dai dati di questa e li aveva corretti
inserendo la variazione per la precessione degli equinozi, calcolata per
il 1820.
Senza utilizzare il telescopio, ma soltanto con dei calcoli che
davano un valore aggiunto al lavoro di Bode, Jamieson era in grado di
presentare per un vasto pubblico, se non per tutti gli astronomi, le più
aggiornate tabelle relative alle stelle visibili ad occhio nudo di tutte
le costellazioni e ad una buona parte di quelle di settima magnitudine.
Rimaneva il compito di migliorare il contenuto estetico delle
tavole e quello divulgativo dell’intero atlante.
Jamieson curò personalmente la parte artistica ed ingaggiò i
migliori incisori presenti sul mercato di Londra, lo studio
Neele and Son, che
produsse con maestria le lastre di rame.
La cura nella
produzione dell’atlante fu attenta e completa, venne rilegato
proteggendo ogni tavola con un foglio di carta velina e la carta per le
tavole fu scelta tra quelle di più alta qualità. Quasi tutti i fogli
portano infatti la filigrana del suo produttore e l’anno di produzione,
J.Whatman 1821, uno dei più rinomati artigiani inglesi
del periodo.
Lo stile di rappresentazione delle costellazioni è classico, il
punto di riferimento è sicuramente l’Atlas
Céleste del Fortin, ma l’incisione è incomparabilmente più
delicata e precisa, più fine e particolareggiata, al punto da dare
personalità ai volti dei personaggi delle costellazioni.
Nelle tavole prendono posto tutte le stelle visibili ad occhio
nudo, in alcuni casi le stelle rappresentate toccano la nona magnitudine,
ritroviamo gli ammassi, le nebulose, che l’autore distingue in Nebulae e in Nebulous Star,
le Stelle Nove storiche e
Jamieson non ha rinunciato a nessuna delle costellazioni di Bode,
anzi ha voluto aumentarne il numero riportando tutte quelle apparse nella
letteratura dell’ epoca. Ne ho contate almeno 108 e tra queste
L’autore arricchisce la sua opera, perché ne fruisca il più
vasto pubblico, con delle rubriche che accompagnano le tabelle che
descrivono le stelle delle costellazioni rappresentate nelle tavole. Vi
trovano posto l’origine mitologica dei personaggi e degli animali
celesti e le più importanti favole ad essi connesse, la collocazione
in cielo delle costellazioni, il periodo di visibilità e la descrizione
degli oggetti più rimarchevoli.
L’ampia introduzione propone un discreto saggio di astronomia
sferica, accompagnato da
esercizi ed esempi svolti che esercitano il lettore ad utilizzare le
tavole nei diversi mesi dell’anno e ad ore diverse della stessa notte
per prevedere o constatare la giusta corrispondenza tra queste ed il cielo
reale o per poter determinare l’ora precisa del sorgere o tramontare di
una stella.
Un’ultima osservazione è da dedicare alla tavola XIV, quella che
illustra la costellazione del Toro. A metà strada tra le Pleiadi
e le Hyadi, appena sotto il
tracciato dell’Eclittica, è disegnata una stellina di settima
magnitudine doppiamente denominata, con una data, il 1690 e con un
simbolo, quello del pianeta Urano.
La stellina è proprio il pianeta Urano
e Jamieson lo disegna, seguendo la tradizione di tutti gli atlanti apparsi
dopo il 1781, data della scoperta ufficiale del pianeta, nel punto in cui
l’astronomo reale britannico J. Flamsteed lo aveva per la prima volta
inconsapevolmente osservato novanta anni prima, nel 1690, denominandolo 34
Tauri nel suo catalogo e disegnandolo poi in quel punto, come una
qualsiasi stellina, in una tavola del suo Atlas Coelestis che vide la luce nel 1729.
Le tavole che presento sono tratte da una rarissima copia completa dell’atlante, resa ancora più pregevole da un certo D. Half che, in un anno non precisato, colorò ad acquarello con graziosa leggerezza tutte le costellazioni. Nel 1824 Jamieson diede alle stampe per scopi didattici l' An Atlas Of Outline Maps Of The Heavens, Adapted To Dr. Jamieson's Celestial Atlas, un curiosissimo atlante celeste muto.
Nove e Variabili Nova del 1572 in Cassiopeia
Nova del 1600 nel Cygnus
Nova del 1604 in Ophiuchus
Nova del 1670 nella Vulpecula
Variabile del 1686 nel Cygnus
Jamieson, Fortin, Bode, Flamsteed e la scoperta di Urano
Tavole di un'altra copia del Celestial Atlas
L'atlante di Jamieson è stato ristampato nel luglio 2004 in cofanetto con tiratura numerata di 100 copie.
CONSULTA LA PAGINA DEDICATA A JAMIESON DA
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TAVOLE
Esempio di descrizione delle costellazioni
I Northern Celestial Hemisphere
III Andromeda,Perseus and Caput Medusae, triangula, La Gloire de Frederic
IV Auriga, Camelopardalis, Telescopium Herschelii
VII Bootes and Mons Maenalus, Asterion and Chara or Canes Venatici, Coma Berenices, Quadrans Muralis
VIII Corona Borealis, Herculesand Cerberus, Lyra
IX Ophiuchus or Serpentarius, Serpens
X Aquila et Antinous,Scutum Sobieski, Taurus Poniatowski, Sagitta, Vulpecula et Anser, Delphinus
XI Cygnus, Lacerta, Via Lactea
XXI Capricornus, Aquarius, Norma Nilotica
XXIII Cetus, Officina Sculptoris, Machina Electrica,Fornax Chemica
XXV Canis Major, Canis Minor, Monoceros, Argo Navis, L'Atelier de l'imprimeur
XXVI Hydra, Sextans Uraniae, Le Chat, La Machine Pneumatique
XXVII Noctua, Hidra Continua, Crater, Corvus, Centaurus, Lupus
XXVIII Southern Celestial Hemisphere
XXIX Constellations visible in the latitude of Great Britain
di FELICE STOPPA
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